Contiene vari acidi resinosi, principi amari.
Contenente pinene, tannini per cui costituisce un’ottima materia prima per l’industria conciaria.
Sono presenti ancora polifenoli cui è dovuto il potere colorante della pianta.
Le principali proprietà della droga sono quelle astringenti, emostatiche, vulnerarie e aromatizzanti. L’uso della resina come emostatico è noto e riconosciuto dalle Farmacopee di diverse nazioni.
Masticata diventa molle sotto i denti e viene considerata come l’antenata del chewing-gum di cui è parte essenziale anche attualmente. Decongestionante e antisettica è consigliata nelle infezioni dell’apparato orale: rinforza le gengive, purifica l’alito. Entra a far parte di paste per otturazioni dentarie e per fissare le dentiere. Come aromatizzante viene impiegato per preparare sia alimenti che bevande. La sua azione astringente è sfruttata per risolvere diarree dei bambini. Viene attualmente sconsigliato l’uso dal punto di vista medicamentoso.
Le grosse radici soprattutto (su ciaccaru in lurese), serviva come legna da ardere. Produceva una fiamma viva perché alimentata dagli oli essenziali, ma non era duratura.
Ricche in tannini, venivano usate per la concia delle pelli. Col lentischio si curavano diverse malattie. Un infuso di foglie era considerato efficace per far passare il mal di denti, per curare le gengiviti e laringiti.
Ad Arzachena si preparavano cataplasmi con dei rametti pestati e si adagiavano sulle ferite. Veniva usato anche contro il malocchio, un ramoscello si appoggiava sulla culla del bimbo visitato da “comari troppo premurose” oppure si appendeva al giogo dei buoi o ancora versandolo nell’acqua con cui poi si spruzzava l’animale colpito dal malocchio. Con rametti teneri e sottili, molto flessibili si confezionavano canestri, cestini e anche nasse da pesca. Considerevole l’interesse dell’arbusto dal punto di vista tintorio.
Le proprietà coloranti sono dovute ai polifenoli contenuti in varie parti della pianta. Variando opportunamente il pH si ottengono colori dal grigio-verde al marron chiaro al giallo-verde.
In Sardegna il lentisco ha fama di possedere molte proprietà. I frutti, da tempo immemorabile, erano usati per ricavarne un olio chiamato a Luras ozzu de listincu.
Sembra che questa operazione risalga addirittura al periodo nuragico come dedotto dallo stesso Lilliu che nel complesso nuragico di Barumini ha individuato una vasca probabilmente destinata alla pestatura dei piccoli frutti. Da allora, forse ininterrottamente, l’uso si è protratto sino a mezzo secolo fa. Le piccole drupe venivano raccolte quando acquistavano il colore nero, ciò a completa maturità. Talvolta si avevano a disposizione frantoi o mulini, ma spesso la preparazione avveniva in ambito famigliare. Il procedimento era piuttosto lungo. Si raccoglievano i frutti ben maturi che dopo un’accurata pulizia si versavano in una vasca colma d’acqua. Quelli che galleggiavano si buttavano via perché ritenuti vuoti, quelli pieni si depositavano sul fondo; questi ultimi si riversavano entro un grosso paiuolo e si sottoponevano ad una lenta ebollizione sino a che il tutto non acquistasse una consistenza molle. Quindi si trasferivano entro sacchi di iuta lunghi e stretti che venivano sistemati in tinozze di legno.
Erano queste delle casse quadrangolari larghe un metro e lunghe un metro e mezzo, munite di corti piedi, non più alti di 20 cm, denominati in gallurese pidacci. Si procedeva quindi alla pestatura. Per facilitarne la spremitura di tanto in tanto si versava sopra acqua bollente. Acqua e olio scolavano da un foro posto al centro di un lato del cassone sotto cui veniva sistemato un recipiente. La parte rimanente si riportava a ebollizione: l’olio più leggero risaliva a galla e veniva raccolto con appositi mestoli. L’olio di lentisco era di un bel colore verde, ma dal sapore troppo intenso e amaro. Questi sapori poco gradevoli e l’odore acre scomparivano friggendo prima dell’uso un pezzetto di pane. L’olio così ottenuto era ottimo per fritture di pesci e frittelle. A seconda delle esigenze famigliari sostituiva in pieno l’olio d’oliva. Serviva anche come combustibile, per alimentare le lampade ad olio. La sansa veniva data in pasto ai maiali e alle galline.Normalmente la pestatura era un’operazione fatta da un uomo che a piedi nudi calpestava i frutti, provocando così la spremutira dell’olio di lentischio.
Sotto questo aspetto la pianta è attualmente, poco utilizzata. Un tempo l’olio serviva per frizionare il cuoio capelluto: i capelli diventavano facili al pettine, morbidi, lucenti. Oggi è apprezzato per le sue proprietà balsamiche; si estrae anche la resina tramite incisioni sul fusto e sulle radici: viene chiamata mastice di Chio perchè la produzione in quest’isola greca era piuttosto abbondante. Se ne ricavano piccole sferette che, masticate lentamente, posson risolvere casi di gengiviti e stomatiti, e danno anche un alito fresco e profumato. Lo stesso effetto si ottiene masticando le foglioline tenere.
Fonte: Aldo Domenico Atzei “Le piante nella tradizione popolare della Sardegna” – Carlo Delfino editore & C. | pp. 702
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